D’inverno arrivavano le giostre. Approdavano dal mare favolosi velieri-vagoni di un grande circo e come foglie cadute si posavano sulla riva degli Schiavoni. Vedere i barconi navigare carichi di colori e luci era elettrizzante come tuffarsi dal trampolino più alto della diga del Lido.

«Sono arrivate!», urlava l’Anna che, sebbene piccola di statura, aveva lo sguardo lungo di una lince.
A quel grido noi discoli diventavamo di colpo scolari diligenti, inappuntabili. «Andiamo bene a scuola e facciamo subito i compiti» era l’imperativo che regolava la nostra giornata. Ne valeva la pena. Chiuso l’ultimo quaderno, via di corsa. In quel periodo si sapeva sempre dove trovarci, di pomeriggio. Alle giostre. L’ottovolante, la Grotta delle Paure, lo Sparo all’Orso e gli autoscontri. Per noi le giostre erano una materializzazione della lampada di Aladino. Ogni volta strofinavamo le tasche come se fossero lampade in cerca di monete e chiedevamo al Genio di regalarci ancora un giro, ancora una caramella, un leccalecca, un dolce, dello zucchero filato o un pesciolino rosso.

L’Anna, campionessa di spari dalla cabina dell’ottovolante, vinceva quasi sempre un giro in più e quindi era l’ultima a finire i soldi.
Piccola peste, l’Anna. La chiamavamo così perché adorava fare i dispetti ai maschi che a loro volta la chiamavano «Venere tascabile» tanta era la perfezione della sua bellezza.

Le giostre ci incatenavano a loro fino a quando il Genio della lampada magica ci dava le ultime dieci lire. E, anche se talvolta calava la nebbia, a noi non importava nulla.
Anzi, il freddo ci rendeva ancora più euforiche. Con la scusa del freddo ci nascondevamo dentro le sciarpe e i cappelli e ne combinavamo di cotte e di crude. Il labirinto di vetro e di specchi era il luogo ideale per andare con i maschietti. Fingere di perderci per ore. Una scusa per chiedere aiuto al più carino. Una scusa per fare le gattine. Venezia mi ha regalato anche questo. Un parco di divertimenti che galleggia sull’acqua. E a sera, stanche e stremate, ci imbarcavamo sul vaporino all’Arsenale e sedevamo a prua. Ideale per avere il vento in faccia e bere la felicità appena gustata.

E sul nostro battello navigavamo verso casa.

Carmela Cipriani

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